"CALIGULA" DI EIMUNTAS NEKROSIUS

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30.10.2012
Enrico Silvano

Ancora una grande messinscena del regista lituano

Ultima messinscena del Ciclo di spettacoli classici, il 27 e il 28 ottobre al Teatro Olimpico di Vicenza è andato in scena Caligula per la regia di Eimuntas Nekrosius.

Caligola è Evgeny Mironov, star del teatro russo ed autentico mattatore per le tre ore di spettacolo. Il suo personaggio è ovviamente al centro dell’opera scritta da Camus.

Alla morte dell’amata Drusilla, Caligola si allontana da solo dal palazzo. La prima scena ritrae il gruppo di patrizi preoccupati per la scomparsa dell’Imperatore. Al suo ritorno Caligola si dice disperato ma determinato a perseguire un proprio progetto: raggiungere l’impossibile; chiede immediatamente al proprio schiavo Elicone di studiare il modo per possedere la luna. Il nuovo Imperatore, stravolto rispetto al passato parla con toni crudeli, si dice divorato dallo schifo e si mette in guerra contro tutti; e mentre nella prima parte dello spettacolo si limita ad enunciare i proprio propositi, nella seconda assistiamo alla naturale evoluzione del suo progetto autodistruttivo.

Caligola è un eroe romantico, come Achab, sfida da solo l’impossibile e ovviamente deve piegarsi alle leggi del reale; è anche un formidabile esistenzialista con il suo continuo dissertare sulla vita e la morte; il suo è un enorme capriccio: l’Imperatore che può avere tutto, che decide su tutto, ma desidera ancora altro; ma l’Imperatore non è solo, non è isolato e questo complica notevolmente il dramma; nuovi rapporti si disegnano con i cortigiani, i patrizi, gli artisti e le donne. Ognuno è costretto a schierarsi e ad assumere una posizione nei suoi confronti. I discorsi folli e le azioni sempre più smisurate scavano un solco tra lui e il resto degli uomini. Diventa un Dio in terra (anche il Caligola storico si farà proclamare tale) e così sua sacerdotessa sarà Cesonia, la donna che lo amerà fino alla fine ma non riuscirà a scalfire il suo cuore ormai irrimediabilmente indurito; il giovane Scipione, dall’animo poetico e sognante, si opporrà con tutta la propria gioia di vivere alla deriva dell’amico, i patrizi invece, guidati da Cherea, ordiscono la congiura che lo condannerà a morte.

La messinscena di Nekrosius è splendida. Merita i lunghissimi applausi che il pubblico gli tributa che premiano anche il mirabile ciclo di sei spettacoli che Nekrosius ha portato a Vicenza. Ciò che fa grande il suo teatro è la capacità di esaltare il lavoro degli attori; c’è un’alchimia che permette ad ogni singolo di esprimersi al massimo grado e allo stesso tempo di costruire una relazione perfetta con gli altri attori sul palco. Ancora una volta, come in "Paradiso" la relazione con gli innumerevoli oggetti di scena assume grande importanza. Non c’è nulla lasciato al caso e tutto ha un preciso significato simbolico che conferisce molteplici sensi all’opera e la trasforma in una mappa che lo spettatore può percorrere nelle direzioni che preferisce.

Ancora una volta quindi il teatro non tradisce, non modifica l’opera letteraria (perché il teatro di Camus è molto più simile a un trattato di filosofia che a un copione di Shakespeare) ma è in grado di esaltarla mettendone in luce il fulcro, il nodo principale dell’opera.