CALIGOLA, METAFORA DEL POTERE DI OGGI

Corriere della Sera
07.06.2011
Franco Cordelli

Faceva freddo a Villa Adriana all'una di notte, quando lo stoico, invasato, principesco Evgeny Mironov, il protagonista del Caligola di Eimuntas Nekrosius, si gettò a capofitto tra le braccia dei congiurati gridando "alla Storia, Caligola, alla Storia!". Faceva freddo, e se ne poteva essere distratti. Ma i nodi della tragedia di Camus erano tutti lì, indistricabili.

In genere, Caligola viene sbeffeggiato dai cultori del teatro contemporaneo, più avaro di verbalità: la sua tessitura intellettuale è così complessa che si preferisce liquidarlo e non più metterlo in scena. Nekrosius, mi pare, non è tipo da avere questi timori. Tra quei nodi ne cito qualcuno, che il regista lituano ha enucleato. Chi è Caligola quando pretende che il popolo viva nella verità se non l'esatto opposto del Grande Inquisitore di Dostoevskij (Camus, lo sappiamo, ne era accanito lettore)? Qual è la virtù dei patrizi suoi oppositori, identici agli oligarchi contemporanei, se non quella di chi vuole mantenere il potere, il suo medio, o mediocre potere? E che cos' è il "gesto filosofico" di Caligola se non il potere che tutti abbiamo, il potere del poter fare una cosa piuttosto che un'altra, dunque la consapevolezza della libertà?

Che poi Caligola scelga di uccidere è una dimostrazione per assurdo, una metafora iperbolica. Non mi pare che egli sia (e tanto meno lo è quello di Nekrosius) un nichilista. Se Caligola promuove l'omicidio di Stato come spettacolo del potere, osservò Maurizio Grande in Lo specchio spezzato, "che cosa può essere il teatro se non lo specchio di questo spettacolo? Ma lo specchio non potrà limitarsi a riflettere lo spettacolo, dovrà esaltarlo fino all'impossibile". Ecco allora che nel finale di Nekrosius ogni congiurato ha in mano un pezzo di quello specchio, dall'imperatore più volte brandito. Nell'uomo davanti allo specchio – scriveva Camus nei suoi Taccuini – "c'è in germe una soddisfazione e un compiacimento. Allora bisogna eliminare lo specchio". Caligola è dunque un eroe romantico al quale, non a caso, si possono contrapporre due sole virtù: la povertà e quella consapevolezza che integra la sua, che neppure il dolore dura: altre due virtù, o pensieri, romantici.

Nel complesso lo spettacolo di Nekrosius, scaturito com'è da una tragedia assiomatica, risulta un requiem del Novecento – un secolo, con le sue contraddizioni e i suoi eccessi, più romantico del "romantico Ottocento". È come un rito, la celebrazione di qualcosa che non c'è. Vi è la magnificenza del tempio e quella misteriosa disappartenenza alla vita che è una messa. Il suo Caligola è altamente suggestivo senza produrre conoscenza. Lo svelano i costumi neutri, né romani né moderni. E le musiche, poche cellule di Wagner e altrettanto poche da (credo) Bruckner e Händel: ripetute all'infinito, senza mai sviluppo, provocano a tratti assuefazione, a tratti stordimento, a tratti ebbrezza.