CANNES 2010 – UTOMLYONNYE SOLNTSEM 2. PREDSTOYANIE – CONCORSO

Antonio Valerio Spera
05.22.2010
close-up.it

Neanche Nikita Mikhalkov riesce a rialzare il concorso del 63 Festival di Cannes. Lo avevamo lasciato tre anni fa con in mano il Leone consegnatogli dalla giuria del Lido per il complesso della sua carriera cinematografica. Fu un premio di ripiego per il suo splendido 12, remake personalissimo di La parola ai giurati, che fino all'ultimo aveva lottato per il Leone d'Oro, lasciando poi la gloria ad Ang Lee.

Ora il regista russo torna al lavoro e riprende una storia che aveva lasciato sedici anni fa. Era il 1994 infatti quando realizzò Il sole ingannatore, uno dei picchi della sua filmografia, e solo oggi decide ripartire da quel film per continuare il suo affresco della Russia stalinista. Una scelta inaspettata e certamente molto rischiosa, una sfida però appoggiata da Putin e dal Ministero della Cultura, che ha finanziato l'operazione e che su di essa ha puntato tantissimo. Prima proiezione al Cremlino ed ora davanti a tutto il mondo la pellicola in Concorso al Festival di Cannes. Nonostante le mille polemiche per l'appoggio del governo russo e le paure per un possibile fiasco – i sequel di grandi film realizzati così a distanza hanno spesso dato risultati deludenti – le aspettative erano tantissime. In particolare perché dopo un intero festival alla ricerca di un film degno della competizione ufficiale e della vittoria (a parte Leigh e Beauvois), si sperava in una sorpresa dell'ultimo giorno con il grande cineasta russo a sconvolgere gli equilibri del concorso.

Purtroppo, come detto, così non è stato. Duole ammettere che Il sole ingannatore 2: Esodo va obbligatoriamente a piazzarsi nel folto gruppo di opere deboli ed inconcludenti che ci ha proposto la kermesse in questa sfortunata edizione. Un film lunghissimo, stilisticamente discontinuo, privo di passione, finto, in alcune parti eccessivamente manierato, poco curato nei dettagli.

1941. Agli inizi della guerra, il generale Kotov riesce a scappare dal campo in cui era stato rinchiuso. Creduto morto dai sovietici, si arruola come volontario e va la fronte. Dopo essere stato gravemente ferito, Kolov rimane con il suo battaglione, convinto che la moglie e la figlia siano morte in campo di lavori forzati e che la vita quindi non potrebbe dargli più nulla. Ma le cose non stanno così. Le due donne sono vive e Nadia, la figlia, è al fronte come infermiera e cerca disperatamente il padre.

Da un racconto così Mikahlkov tira fuori un'opera di stampo patriottico (e su questo non c'erano dubbi) che però azzera epica, ritmo ed emozioni. Dal prologo onirico e quasi demenziale, con uno Stalin macchiettistico che mangia pane, burro e marmellata e riceve in dono un'immensa torta con la riproduzione in cioccolata del suo volto a decorarla, si deduce subito che lo spettacolo non sarà dei migliori. Una sensazione quest'ultima, confermata nei primi minuti del racconto e rafforzata purtroppo da tutta la pellicola. Mikhalkov ritrae la storia in modo fumettistico, a volte sfiorando il ridicolo, con situazioni improbabili, scene evidentemente finte e costruite, bombardamenti che sembrano festeggiamenti di capodanno. Le scelte registiche e di sceneggiatura discutibili si susseguono: dal battesimo sopra un'enorme mina al diciannovenne che pieno di ferite e con il volto pieno di sangue chiede all'infermiera di fargli vedere il seno, fino a bombe che rimangono appese a lampadari. Tali assurdità vengono alternate a sequenze affascinanti ed eleganti (come i corpi dei soldati morti che piano piano vengono coperti dalla neve), in cui esce il talento visivo del cineasta russo, che quando vuole sa costruire inquadrature come dipinti e calamitare lo sguardo. Il risultato finale è un pastiche indeciso sulla strada da intraprendere, un megakolossal in cui c'è tutto e niente.

Nel finale, che non conclude il racconto, compare la scritta: fine prima parte. Ci sarà un nuovo sequel. Forse di questo sarà contento solo Putin.